La Sindrome di Calimero: la bruttezza della lamentela

La lamentela è una forma di comunicazione che tutti conosciamo e di cui abbiamo fatto esperienza nella nostra vita. A molti sarà capitato, almeno una volta, di vedere un giovane atleta che si lamenta in modo costante di tutto quello che gli capita in campo, delle difficoltà e degli eventi incidentali. Lo vediamo attuare una costante e fastidiosa gestualità o verbalizzare continuamente qualcosa che non va.
Chi la usa, la adotta come un modello di vita, un modo (perdente) di affrontare i problemi. La lamentela, a differenza dello sfogo, non è qualcosa di estemporaneo e breve, ma assume i caratteri di uno schema che si ripete nel tempo.
Le persone che si lamentano di tutto quello che capita loro soffrono della sindrome di Calimero.
La sindrome di Calimero è sinonimo di vittimismo, cioè quell’atteggiamento psichico per il quale la persona si sente vittima delle trame avverse degli altri e del destino.
È un’esperienza così diffusa e connaturata all’uomo che negli anni ’70 decretò l’enorme successo di un cartone animato nato senza grandi pretese: Calimero, il pulcino “piccolo e nero” con un guscio per cappello, che alla fine di ogni avventura si ritrova solo e sconsolato, incompreso, bersaglio di sfortune e ingiustizie. Ma ciò che gli accade sembra quasi catalizzato dal suo modo di considerarsi: appunto piccolo (cioè indifeso e bisognoso) e nero (cioè sfortunato e meno dotato). Insomma, il prototipo ideale per il vittimismo. Nonostante la comicità dei suoi riferimenti, a fare da sfondo a tutte le lamentele c’è un percorso di vita molto difficile, una reale sofferenza, una richiesta emotiva costantemente disattesa.
Se la lamentela si limita a un singolo episodio va bene, perché attira l’attenzione. Può essere un modo per cambiare una situazione quando c’è un problema. Tuttavia, ci sono ragazzi che si lamentano più e più volte. Una persona diventa un Calimero quando esprime continue lamentele e segue sempre lo stesso schema per relazionarsi agli altri.
Nella maggior parte dei casi, questi ragazzi esprimono il bisogno di essere ascoltati perché gli altri vedano la loro sofferenza. In altri casi, prevale una forma di pigrizia che consiste nel lasciare che la situazione si esaurisca, per poi continuare a lamentarsi. Infine, c’è una piccola minoranza che cerca semplicemente di attirare l’attenzione su di sé.
Ma nella maggior parte delle persone che si lamentano molto c’è davvero qualcosa di rotto, di danneggiato. Queste persone non sanno come andare avanti né come rimettere insieme i pezzi. Per questo motivo, bisogna essere pazienti con loro, perché in realtà non cercano di ferire, anche se possono stancare.
Questo atteggiamento spesso deriva da un trauma infantile non percepito. In parole semplici, questi ragazzi non dicono “prenditi cura di me”, bensì “ascoltami”. Aggrappandosi alle loro lamentele, hanno bisogno di essere ascoltati per dimostrare quanto stanno soffrendo.

Ricordatevi ragazzi: la lamentela è figlia della pigrizia, è un alibi per non fare le robe. I pigri si lamentano perché devono trovare un alibi al fatto che non si impegnano. Non teatralizzate una situazione con le vostre continue lamentele, perché è davvero brutto agli occhi degli altri. Parlate con il vostro allenatore o chi per lui del vostro disagio e non delegate allo smartphone questo compito.

Lascia un commento