Arriviamo ad un certo punto della nostra carriera di allenatore a percepire una sorta di rivalità interna tra un ragazzo e l’altro ed i genitori di entrambi magari, se fino a questo momento avevano un buon rapporto e soprattutto un bel dialogo, iniziano ad allontanarsi ed a percepire l’altro come “nemico”. Non dobbiamo preoccuparci perché la rivalità è un fattore normale.
Da un punto di vista storico, la rivalità, o meglio competizione, è insita nella natura umana. L’uomo vive sempre in modalità competitiva, fin dai tempi antichi, per ragioni di sopravvivenza, per necessità o semplice vanità.
Da un punto di vista bio-psico-fisico, è il periodo che va dai dodici anni in poi, quando inizia l’adolescenza insomma, che risulta particolarmente significativo nella crescita del ragazzo e nell’emergere di cambiamenti a livello emotivo e cognitivo: maggiore attenzione e preoccupazione per l’immagine del proprio corpo, maggior concentrazione su se stessi, in un equilibrio precario tra alte aspettative e mancanza di fiducia, sbalzi di umore, maggiore capacità di pensiero complesso, espressione dei sentimenti attraverso le parole e un senso più forte di ciò che è giusto e sbagliato. Questi cambiamenti sono visibili certamente anche a livello sportivo.
Quindi è del tutto normale che il ragazzo provi una sorta di invidia o di rivalsa nei confronti del suo amico, poiché è in questo momento che ha la tendenza di voler venir fuori a tutti i costi ed essere migliore dell’altro, in tutto e per tutto. La cosa normale è che il compagno di squadra può essere un rivale e questo è molto naturale e il più delle volte cresce in maniera nascosta e spontanea.
Quando un ragazzo comincia a migliorare e vincere, è naturale che all’interno del team questo comincia ad essere ammirato e gratificato, soprattutto se i buoni risultati sono costanti. Ma capita anche di avere un “bersaglio sulla schiena.” Quei compagni di allenamento che migliorano più lentamente cominciano a misurarsi con l’agonista che trasformano in una sorta di “parametro” e ogni lotta con lui si trasforma in una sorta di esame. A volte può crescere anche un senso di antipatia, solamente perché l’altro è in grado di fare cose che io non sono in grado di fare, ma è del tutto infondata e senza alcuna ragione di esistere. In realtà il più bravo non è antipatico, è solamente fonte di ispirazione.
Un altro fattore che genera rivalità è l’orgoglio. Quella vecchia e ristretta mentalità del “vincere” o “perdere” può causare animosità e un danno inutile all’interno della squadra. L’allievo ha bisogno di capire che l’allenamento è l’ambiente in cui andrà ad apprendere ed allenare le tecniche ed è il luogo dello sviluppo. Essere vinto da un compagno di allenamento dovrebbe essere considerato come un segnale che indica come sia necessario correggersi e migliorare.
La cosa migliore da fare è vedere la squadra come un ingranaggio enorme, in cui ognuno gioca un ruolo fondamentale nel definire e migliorare la formazione dei compagni di squadra. Ci si deve spogliare dell’orgoglio e occorre essere sempre onesti poiché per raggiungere qualcosa di grande ci vuole un gruppo di ragazzi non solo talentuosi, ma che funzionino bene insieme. L’allenatore deve essere bravo a veicolare e dirigere le rivalità verso il solo canale possibile: il bene della squadra. Purtroppo, molte persone, tra cui i genitori stessi, non capiscono questa importante differenza, credendo che il solo talento (o la sola esperienza) sia sufficiente o che, semplicemente, il proprio figlio debba essere maggiormente considerato rispetto ad un altro. Non ha funzionato e mai funzionerà così. I genitori dovrebbero sempre essere semplici “osservatori” dell’atto sportivo. Infine, a volte dimentichiamo che lo sport è anche un formidabile veicolo di storie di amicizia, a volte straordinariamente grandi. Pensiamo a Coppi e Bartali, Rivera e Mazzola, Nadal e Federer: sono solamente alcuni esempi di rivalità-amica che hanno segnato la storia dello sport: uomini che si sono fronteggiati sul campo, ognuno con i propri valori e principi, che hanno nutrito un profondo rispetto l’uno per l’altro.
LA RIVALITÀ INTERNA AL TEAM È NATURALE E SANA
